In “Profili d’artista” Eleonora Gugliotta ci racconta alcuni artisti contemporanei gravitati intorno a Palermo fino al 2013 che vengono interpretati attraverso la tecnica del ritratto fotografico. I ritratti non sono altro che “installazioni viventi” in quanto i personaggi vengono inglobati in una composizione accuratamente studiata dall’artista e poi fotografati. Il progetto è stato il lavoro di tesi del triennio dell’Accademia di Belle Arti di Palermo.
Stampa fine art 35 x 35 cm
Tiratura limitata di 5 pezzi cad.
«Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare ciò che la figura ha nell’animo: altrimenti la tua arte non sarà laudabile», queste parole sono l’inizio, l’origine dell’importanza che verrà data, non solo al ritratto, ma anche all’autoritratto; questo è Leonardo, che fece dei suoi volti, leggenda.
La pratica dell’autoritratto, come quella del ritratto, ha la sua origine nella profonda ricerca dell’arte occidentale moderna; nella quale si viene a indagare non solo l’aspetto artistico e rappresentativo del soggetto, ma anche un più intimo lato dell’uomo, quello psicologico e senziente. Ancor prima dell’avvento delle teorie freudiane, della spiritualità positivistica ottocentesca, questa pratica, atta a carpire ogni minima espressione e minuzia del viso, ha assunto via via nei secoli una sempre maggiore area di studio, portata dall’interesse dell’Io che sta all’interno di ognuno di noi. L’uomo e tutta la sua macchinosità diventano i soli protagonisti dell’opera d’arte. Il pensiero di fondo, che si è man mano formato, è quello che l’autoritratto porta questa pianificazione ai più desiderosi fini: conoscere se stessi è la base per riconoscere l’altro. Come afferma Flavio Caroli «L’autoritratto diventa per alcuni artisti l’occasione per organizzare una vera e propria autobiografia, fondata non solo sulle qualità fisiche, ma anche su quelle psicologiche, della propria persona».
Ciò che fanno gli artisti è osservare e dipingere la psiche umana; che essi siano pittori, scultori o fotografi, l’importante è imprigionare le passioni dell’anima e i suoi moti.
Molto spesso gli studi di ritrattistica mirano anche a comunicare e preservare informazioni dell’epoca in cui è stata realizzata l’opera, infatti, molti sono i fini sociali, politici, medici, ecc, che ruotano intorno a questa ben specifica metodologia di rappresentare se stessi e l’altro.
Con il passare dei secoli, con lo scoprire e il perfezionare nuovi strumenti, muta il metodo, il linguaggio e l’uso che di essi ne facciamo, per poter creare delle nuove e continue espressioni che nel corso del tempo verranno sempre più perfezionate. Già dalla scoperta della fotografia, essa stessa importante e sbalorditiva scoperta scientifica, e mezzo di cui ci si servì in prima istanza per trasmettere il nostro corredo familiare, per poi trovarsi coinvolto come mezzo di rappresentazione della realtà, e quindi della verità assoluta. Venne usata per innumerevoli pratiche e diversificati fini, dalle campagne di guerra, alla sempre più crescente richiesta di essere immortalati e fissati nell’istante, come una sorta di “ritratto di Dorian Gray” che ci rende immortali dinanzi al tempo, poiché la nostra immagine è in grado di sopravvivere ad esso.
Mutano ancora le tendenze, e dovremo aspettare gli anni Ottanta per poter vedere affrancata la fotografia come vera e propria disciplina artistica. Non più mezzo usato come sguardo sincero e veritiero della realtà, ma da quegli anni, mezzo di pura ricerca e interpretazione artistica.
Verrà nei giorni nostri, dopo l’indispensabile rivoluzione artistica del Novecento, a crearsi una coesione tra ciò che si considerava ritratto di rappresentanza e autoritratto di appartenenza sociale; com’è dimostrato dalla grande produzione degli autoritratti di artisti insigni di magnificenza e pronti a farsi riconoscere con il proprio strumento con il quale loro facevano la propria arte; e simbolo stesso della propria dignità d’artista, all’interno della storia dell’arte. Torna con metodologie e visioni, oltre che con strumenti, differenti l’uso della ritrattistica d’artista; questa è la nuova ricerca portata avanti, e pienamente visibile nelle foto di Eleonora Gugliotta.
Volti, primi piani, protagonisti a mezzo busto di foto senza tempo immortalati nel repentino momento dello scatto, mostrando la teatrale fissità del soggetto. Fotografie che mostrano dei personaggi cristallizzati, fissi, in uno spazio fuori dal tempo, colti nell’atto di scrutare e mostrare ciò che nella caduca vita li porta ad operare. Artisti, Fotografi, Musicisti, personaggi dalla forte personalità e grandi comunicatori, che chiamano lo spettatore a sé, come se volessero dialogare, farci incuriosire e invitarci a comprendere cosa rende le loro vite straordinarie. Dialoghi interminabili nel più rumoroso e completo silenzio, parole proferite attraverso gli sguardi di chi osserva e da chi viene osservato, instaurando un rapporto colloquiale tra opera e fruitore. Certamente sono le emozioni, le sensazioni e le esperienze visive che guidano lo spettatore attraverso i ritratti della Gugliotta, presentandoli e facendoli unire all’interno di una più intima amicizia. La Gugliotta, vuole farci cogliere l’importanza delle sensazioni che sbocciano tra opera e spettatore, e attraverso questo processo, portare alla riflessione di cosa e come questi due protagonisti dell’arte, non solo entrano in relazione tra di essi, ma anche di come questi personaggi dell’arte divenendo essi stessi, oggetto d’arte. Come sono visti e considerati da chi li osserva? Quali sensazioni, pensieri, e quali percezioni si vengono a formare nella mente di chi osserva l’opera d’arte proposta dalla Gugliotta? Secondo la più antica forma di rappresentazione dell’artista con il proprio lavoro, come questa nuova ritrattistica, ormai meglio compresa come Profili d’Artista, viene percepita e indagando come queste percezioni hanno influenzato il giudizio stesso del fruitore.
«Nel realizzare questo lavoro, mi sono inizialmente posta come un osservatore fra tanti, che dinanzi ad un artista e alle sue opere, attiva un processo di comprensione e di elaborazione, per arrivare a un’inevitabile interpretazione. Mentre tutto ciò, per gli altri fruitori termina li, per me prosegue in una proposta secondo il linguaggio visivo fotografico».
Questi punti di riflessione e di analisi di come il fruitore osserva, di come l’artista viene considerato non solo come colui che produce ma che, in questo caso, viene “prodotto” ed esposto nel lavoro della Gugliotta, suscita considerazioni e percezioni diversificate, che nella Gugliotta sono tutt’ora motivo di ricerca.
Questo lavoro non è un pedissequo segnalare e mostrare una scelta basata sul proprio gusto, ma chi nella sua vita è entrato in contatto con lei e con la sua crescita artistica.
Nelle foto i soggetti posti per la maggior parte frontali allo spettatore, sono circondati da oggetti che vengono utilizzati per far intuire cosa e come producono, e in che modo questi artisti vengono interpretati dalla Gugliotta. Pezzi meccanici, costruzioni architettoniche realizzate con fili, luci, penne, rullini, sono queste le scenografie che fanno da sfondo e che fanno in verità da cooprotagonisti ai ritratti di questi artisti; poiché si immortala l’artista e la sua opera, e questi diventati opera del fotografo, creano una percezione metalinguistica della fotografia, questa è la complessa visione dietro la piacevole semplicità dello sguardo che si può cogliere nell’opera della Gugliotta.
Danilo Lo Piccolo